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Biofilia di periferia - 2009-2014

PRELUDIO

Finalmente mi rendo conto che diventare autobiografica significa scrivere una storia appassionante, popolata da gente bizzarra e adorabile, assurda e inconcepibile, una fotografia, un diario animato che supera la fantasia, un reality cartaceo, attraverso il quale cedo infine al trend commerciale.

Ebbene, mi sono appena licenziata per giusta causa, ma questa è ancora tutta da dimostrare. Gusto l’ebbrezza della libertà dagli orari d’ufficio, la leggerezza del mattino, il tempo tutto nelle mie mani, liberato dalle scadenze, gli Studi di Settore, gli ammortamenti, dal fisco iniquo e i musi lunghi di imprenditori rabbiosi e stanchi, imprenditrici isteriche, colleghe esauste, padroni fascisti.

Italia 2009, un anno da resa dei conti che merita davvero di essere raccontato.

 

Dopo nove anni di sfruttamento decido di percorrere la lunga strada della vertenza sindacale. Sono raggiante e fiera, sprizzo dignità da tutti i pori, parenti e amici vorrebbero emularmi poiché emano la libertà degli eroi, sono il potenziale acceso, l’entusiasmo, la speranza, la fiducia.

A quarantacinque anni si possono riaprire i cassetti dei sogni, vederli danzare come il genio della lampada liberato da un incantesimo.

Riprendere, dopo secoli, i propri ritmi naturali scatena varie fasi di adattamento e di depurazione. D’un tratto non c’è più nulla da fare per dovere e c’è tutto da fare per piacere, e senza essere già in pensione. Il giorno che istituiremo il Reddito di Cittadinanza Universale si svuoteranno le carceri e si moltiplicheranno i sorrisi.

Io, ignara del futuro, parlo di anno sabbatico e conto sulla vertenza che mi vede creditrice di trentamila euro, ma conto per lo più sull’indennità di disoccupazione che è erogata se le dimissioni sono dettate da “giusta causa”.  Dicasi “giusta causa” quando un lavoratore se ne va per mobbing, molestie sessuali o mancata retribuzione, ma la mia è semplicemente per “sfruttamento”, ovvero un inquadramento di livello inferiore alle mansioni realmente svolte.

Io, poeta di periferia e di confine, ero un’impiegata d’ordine o di concetto?

E’ su questo concetto che gli ispettori e poi i magistrati dovranno accertarsi, mentre l’ente previdenziale mi nega l’indennità di disoccupazione, anche in forma provvisoria, mettendomi in ginocchio.

 

FUGA

Da anni, ormai, ho maturato l’idea che sarò postuma. Ciclicamente mi dedico a ricercare editori-mecenate inviando poesia, racconti e fiabe a taluni che mi paiono più speciali di altri, ma l’assordante silenzio che riscuoto è così doloroso che ho smesso di procurarmelo.

Scrivo per l’Akasha e ogni eccelso pensiero ispirato viaggerà nel mare delle menti a placare la mia vanità.

Tutto cominciò a undici anni, quando desideravo ardentemente essere dotata di una telescrivente collegata al cervello. Oltre la telepatia, per esprimermi ed essere compresa limpidamente, come quei pensieri estatici che ti mozzano il fiato, in quello spazio fatato del dormiveglia, e che temi sempre di dimenticare al risveglio. Ah.. se solo l’avessi scritto!

In fondo molti rinunciano a scrivere perché ti fanno sentire patetico, come se fosse una debolezza, un vezzo, una merce superflua. Oggi, i lettori incalliti diventano una cerchia e i bambini non imparano ad amare il fruscio e il profumo delle pagine di un libro.

Quale sventura nascere poeta nell’epoca dell’immagine! In realtà la vera spinta a propinare un’auto-biografia è arrivata quando ho realizzato che il mio primo romanzo adolescenziale (e incompiuto) era stato così profetico da raccontare in anticipo alcuni avvenimenti ed incontri contemporanei.

E’ un libro pieno di inquietudini, a partire dal titolo: “Infinite lenti focali”, suddiviso in tre parti, il Tedio, il Viaggio e la Nuova Follia.

E’ la storia di una fuga dal Sistema, una ribellione depressa, una ricerca immatura ma intensa, un percorso di libertà e confusione nel turbinio degli Anni Ottanta.

La protagonista, Federica, vive paralizzata dallo shock di abitare un mondo così spudoratamente ingiusto, finché un giorno si licenzia e parte in treno per Vaticalia.

Visita alcune città, incontra un cieco, Erika ed un’anziana, poi torna a casa e si fa ricoverare in un reparto psichiatrico, sabotando e distruggendo tutti gli psicofarmaci che può.

Il viaggio si intervalla alle epistolari a genitori, amiche/i, ex-compagno e al viaggio onirico con Merrili, un essere etereo d’una bellezza folgorante ed una grazia infinita, perfettamente somigliante a Federica, tipo bellissima-copia.

Tutta questa storia decadente da tardo Novecento forse non la finirò mai perché la sto vivendo e l’ho vissuta, o forse, la finirò su queste pagine. Che resti un incompiuto significa che sono ancora dispersa in quelle infinite lenti focali, in quei miliardi di aspetti di me che sto tentando di integrare.

I possibili futuri delle possibili scelte nell’Omniverso multidimensionale prendono vita davvero come ne “La storia infinita”, dove la fantasia dà vita alla realtà, laddove Tutto-è-possibile.

 

Da “Infinite lenti focali” 1987

Il grande giorno stava per arrivare; Federica s’immaginò camminare verso la stazione, con zaino e valigia, a passo sempre più sostenuto, senza sentire il peso dei bagagli, e sentì quel sapore di vita dei tempi della scuola, quando tutto era ancora possibile. [..]

Non gioirò mai più dell'infinito finché questo non ritornerà così imponente ed essenziale da sembrare l'impossibile, ultima meta che non può definirsi tale, viva com'è della sua morte.

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