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Infinite lenti focali - 1988-2021

“Forse un mattino andando in un'aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compiersi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro

di me, con un terrore di ubriaco.

 

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto

alberi case colli per l'inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto."

 

Eugenio Montale, OSSI DI SEPPIA

 

 

 

All'improvviso uno strano sogno mi catapultò.

A lungo stetti a pensare a come sarebbe stato semplice riaddormentarsi nel tepore delle lenzuola ma, come di fronte ad uno spillo sul cuscino, indietreggiai al pensiero dell'ancor più repellente risveglio piombo-palpebra.

Senza che il cielo avesse luce viva sentii la sua energia.

L'altezza delle montagne rimuoverebbe questo incastonato umore di terracotta; la pietra darebbe riflesso alle mie addor­mentate percezioni. Come vorrei partire da qui. Singhiozzando silla­be non riesco a dimenticarmi dello squallido, insipido lavoro che mi attende.

Fu proprio questo pensiero a farmi riaddormentare, per effetto di meccanismo. Sonno profondo mi accompagnò e fu più riposante dell'in­tera nottata, finché mi resi conto di essere in ritardo di almeno mezz'ora, senza considerare il tempo di lavarmi, vestirmi ed imbocca­re la strada.

Sbuffai mugolando stridula, mi accarezzai il corpo, sistemai il cuscino e dissi a me stessa: "Alzati e cammina!"

 

Scesa dal letto si guardò le gambe, così familiari, avevano qualcosa di diverso quella mattina, guidate da una forza misteriosa che intimamente non sentiva così prepotente come il desiderio di dormire ancora.

Insaponatasi la faccia, disegnò sul viso il segno di guerra degli Indiani e il telefono chiamò. Col volto perplesso si rivolse allo specchio, si asciugò le mani e corse all'apparecchio: "Sì?"

"Federica, ciao! Qui all'ufficio ci chiedevamo se stai bene..?"

"Bene?  Oh no, io non sto bene, e tu? Sai, questa mattina non mi sento a posto, sono appiattita, la pressione bassa.. forse piove?  Ho bisogno di prana, non puoi mettermi in ferie?"

Intrepida attesa portò la collega a sospirare: "Va bene, va bene.. ehi, ma tu vai dal medico, non esitare. Ci sentiamo, allora, ciao."

"Grazie, grazie, ciao."

Riattaccò con cautela, nel silenzio sorrise: la mano sul telefono, il corpo all'erta, non riuscì più a trattenere una risata e cominciò a saltellare nel corridoio, echeggiando dei brevissimi cenni di gioia, metallici "Yahoo!".

 

 

 

 "L'intelligenza, troppo scossa da cima a fondo, si ritira come un vinto, e può cadere, per una volta nella vita, negli smarrimenti di cui siete testimoni."

 

Lautrèamont, I CANTI DI MALDOROR

  

Sciaguratamente, mi dissi, sono intrisa di vuoti pensieri.  C'è un selciato antico sotto a me; scrissi la paura di perdermi e lo desidero, aggiungo ora. Non c'è altra soluzione che trasformarsi, assorbire, sciogliere i nodi dai capelli e guardarsi le mani.

Il sentiero di paglia comincia a bruciare. Non c'è alcun sistema alternativo all'acqua e questo fumo mi secca la gola.  Non posso credere ad altro che a niente.

La televisione memoreggia atmosfere finte, la penna stride, io fumo e vorrei aria pura, questa luce mi infastidisce a tal punto che scriverei al buio. Ma nessuno ha la gioia di vedermi e così domani sarà un altro schifosissimo domani.

Il sole di paglia comincia a bruciare. Non c'è alcun sistema alterna­tivo alla luce e questo fumo secca i miei occhi. Probabilmente sarà un giorno monotono come tutti gli altri giorni monotoni, e che se ne fa la monotonia di un giorno solo?

Ma in che secolo siamo?

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